Nasce RES – Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia

Un nuovo centro di ricerca

“RES – Istituto di Ricerca su Economia e Società in Sicilia” è promosso da due istituzioni impegnate, in forme diverse, a promuovere lo sviluppo dei territori: Fondazione Banco di Sicilia e UniCredit Group – Banco di Sicilia.

La Fondazione – tra le più importanti del Mezzogiorno – è attiva su tutto il territorio siciliano ed è impegnata sul terreno dello sviluppo locale, con interventi per la conservazione e valorizzazione dei beni culturali e per il sostegno alla formazione, alla ricerca e all’innovazione. Unicredit – che ha acquisito il controllo del Banco di Sicilia dopo l’integrazione con Capitalia – è la banca più importante della Sicilia, oltre che dell’intero Mezzogiorno. Il Gruppo UniCredit è interessato a rafforzare il radicamento territoriale delle proprie attività, coniugandolo con la sua vocazione di attore globale nel campo finanziario. A questo fine sono stati anche costituiti dei “comitati territoriali” in diverse regioni meridionali – tra cui la Sicilia – aperti al contributo delle forze imprenditoriali e della società civile.

La decisione della Fondazione Banco di Sicilia e di Unicredit Group – Banco di Sicilia di costituire congiuntamente RES mira non solo a promuovere conoscenze utili per le loro specifiche attività, ma soprattutto a offrire alle forze sociali e alle istituzioni politiche regionali e locali un bene collettivo fondamentale: una migliore conoscenza dello sviluppo dei territori, delle opportunità e dei vincoli che ne influenzano la crescita economica e civile.

In questo quadro, RES darà dunque fondamentale rilievo, nella sua attività, al tema dello sviluppo locale, affrontato in chiave comparata sia con le regioni del Sud e del Centro-Nord che di altri Paesi europei. La prospettiva di analisi privilegiata sarà quella dei rapporti tra economia e società, con particolare attenzione ai condizionamenti legati ai fattori socio-culturali e istituzionali.

L’Istituto di ricerca si propone così di contribuire a un disegno più efficace delle politiche pubbliche, e di fornire alle forze sociali (rappresentanze del mondo imprenditoriale, del lavoro, dell’associazionismo sociale e culturale) elementi utili per un miglior orientamento della loro azione a sostegno dello sviluppo.

L’istituto, che sarà operativo a partire da settembre 2008, sarà presieduto da Carlo Trigilia e guidato da un Consiglio di Indirizzo del quale faranno parte: Roberto Nicastro, Deputy CEO di UniCredit Group, Ivan Lo Bello, Presidente del Banco di Sicilia, Roberto Bertola, Amministratore Delegato del Banco di Sicilia, Giovanni Puglisi e Eugenio Giorgianni, rispettivamente Presidente e Segretario Generale della Fondazione Banco di Sicilia. Del Comitato Scientifico, presieduto da Giovanni Puglisi, Vice-Presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), faranno parte: Aurelio Angelini, Maurice Aymard, Arnaldo Bagnasco, Aldo Bonomi, Salvatore Butera, Giuseppe Campione, Guido Corso, Leandra D’Antone, Carlo Dominici, Alberto Quadrio Curzio, Elita Schillaci, Gianfranco Viesti.

Al fine di inquadrare meglio le finalità e le attività di RES, può essere utile richiamare brevemente alcuni aspetti essenziali dell’attuale situazione economica e sociale del Mezzogiorno e della Sicilia.

Il Sud e la Sicilia dopo la Cassa per il Mezzogiorno

Alla metà degli anni ’90, la fine dell’esperienza dell’intervento straordinario e l’avvio di un percorso di riordino dei conti pubblici generarono un prevedibile contraccolpo nelle regioni meridionali. Si acuì la crisi dei poli industriali, sostenuti con incentivi della Cassa per il Mezzogiorno, e si ridussero le tradizionali forme di compensazione dell’occupazione e del reddito legate – direttamente o indirettamente – alla spesa pubblica e alla redistribuzione di risorse dallo Stato centrale. Anche il sistema creditizio meridionale subiva una crisi grave che innescò un profondo processo di ristrutturazione.

Tuttavia, nella seconda parte degli anni ’90, si cominciarono a percepire i segni di un fenomeno largamente inatteso. Si estendeva verso Sud quel “modello italiano” basato sui sistemi locali di piccole e medie imprese nelle tipiche produzioni del made in Italy, originariamente concentrato soprattutto nelle regioni della Terza Italia (Centro e Nord-Est). I nuovi sistemi produttivi – sebbene in forme spesso più fragili e meno integrate a livello locale – crescevano soprattutto in alcune aree del Sud (linea adriatica, entroterra campano, Basilicata).

La Sicilia fu anch’essa investita dalla crisi dei vecchi poli di industrializzazione promossi dalla Cassa, ma restò meno coinvolta nello sviluppo di nuovi sistemi produttivi locali del made in Italy. Questa grande regione – con circa un quarto della popolazione del Mezzogiorno – godeva però di più forti ammortizzatori sociali legati alla spesa pubblica, in ragione dell’autonomia speciale del suo governo regionale.

Verso la metà degli anni 2000, è apparso chiaro che molte speranze degli anni precedenti erano andate deluse. Lo sviluppo economico ha frenato ancor più bruscamente che nel resto del Paese, e il rallentamento ha coinvolto anche le aree che avevano mostrato segni di maggior dinamismo. L’esperienza dei “nuovi sindaci”, avviata con la riforma dei primi anni ’90, sembra anch’essa esaurita, pur se alcuni elementi più positivi, avviati nella fase precedente, permangono. Infine, la società civile appare complessivamente meno attiva, e stenta a reagire alla presa della criminalità e alle difficoltà dello sviluppo. Ma anche in questo caso qualche segnale positivo si registra, specie in Sicilia, con l’azione delle rappresentanze degli imprenditori e dell’associazionismo. La stessa economia del Sud, se vista con lenti attente a disaggregare l’ingannevole categoria statistica “Mezzogiorno”, appare meno uniformemente stagnante.

Il modello italiano, nella versione più fragile che aveva preso corpo in alcune aree del Sud, ha subito maggiormente i contraccolpi che si sono manifestati a livello nazionale: conseguenze negative della crescente globalizzazione per le produzioni del made in Italy di fascia più bassa; peso delle inefficienze dei settori non aperti alla concorrenza internazionale e della pubblica amministrazione. Entrambi i fattori sono stati accentuati dall’impossibilità di svalutare dopo l’ingresso nell’euro. Entrambi hanno pesato di più nel Sud, e sono stati aggravati da fattori specifici come il peso della criminalità organizzata e le difficoltà incontrate dalle nuove politiche di sviluppo (“programmazione negoziata”) avviate a metà degli anni ‘90.

Nonostante queste serie difficoltà, qualcosa si è mosso nel Sud in questi ultimi anni. Si intravede un percorso diverso rispetto a quello degli anni ‘80 e ’90. Cambiano le specializzazioni: le attività che sono cresciute di più in termini occupazionali, nel settore privato, sono quelle del turismo e dell’edilizia, seguite dagli altri comparti del terziario. In alcuni sistemi locali cresce anche la manifattura non legata al made in Italy (meccanica, ICT, auto, chimica) e l’agro-industria. Cambia anche la geografia della crescita: la dorsale adriatica cresce meno (le aree del made in Italy sono stagnanti o perdono addetti), mentre è più marcato, in termini di occupazione, l’incremento delle aree tirreniche e della Sicilia.

La Sicilia degli anni 2000

Oggi la Sicilia testimonia bene gli aspetti contraddittori del Mezzogiorno contemporaneo. Dal secondo dopoguerra gode di un’autonomia speciale che conferisce al suo governo regionale poteri regolativi, trasferimenti dallo Stato centrale e risorse di spesa superiori a quelli delle altre regioni del Sud. Eppure, nonostante queste condizioni di relativo privilegio, acquisite da diversi decenni, non si sono ancora innescati in misura sufficiente i germi di uno sviluppo autonomo.

Il reddito pro-capite è più basso della media del Sud; l’economia dell’isola resta largamente dipendente dai trasferimenti pubblici e dal controllo politico; il peso dell’impiego pubblico nell’occupazione è ai livelli più elevati; l’economia criminale ha subito dei colpi significativi, ma specie in alcune aree il suo peso resta molto elevato e il “pizzo” grava sulla maggior parte delle imprese.

D’altra parte, l’autonomia speciale e i maggiori poteri e trasferimenti non si sono accompagnati a miglioramenti significativi sul piano sociale e nella dotazione infrastrutturale. La povertà e la disuguaglianza sociale raggiungono le punte più alte tra le regioni, e preoccupanti sono i tassi di abbandono scolastico. Le infrastrutture e i servizi sociali sono meno diffusi e efficienti. Ma anche i servizi idrici, la fornitura di energia, la raccolta dei rifiuti e le infrastrutture di comunicazione restano nettamente al di sotto degli standard del Mezzogiorno (che sono più bassi di quelli del Centro-Nord).

Insomma, il caso della Sicilia, come del resto quello di altre regioni meridionali, sembra sostenere l’ipotesi di possibili “effetti perversi” delle politiche per il Mezzogiorno, nel senso che l’intervento pubblico si è trasformato da soluzione per aiutare lo sviluppo in problema che finisce per ostacolarlo. Specie in quei contesti dove più forte è il peso della politica e della spesa pubblica nell’economia e nella società, finisce per essere scoraggiata l’imprenditorialità economica capace di competere nel mercato, a favore di un’ “imprenditorialità politica” piccola e grande, più dipendente dalla spesa pubblica.

Ma il quadro non è fatto solo di scuri. Anche in Sicilia, se si scende dal livello aggregato regionale ai diversi contesti territoriali, ci sono alcuni segni di maggior dinamismo economico. E’ emersa negli ultimi anni quella che si potrebbe chiamare l’ “economia dei due angoli”: l’area nord-occidentale e soprattutto l’area sud-orientale. Nella prima, com’è noto, si è affermato il “sistema del vino”, che ha visto la crescita significativa di aziende capaci di produrre vini di qualità e di farsi strada sul mercato nazionale e internazionale. Il secondo angolo – quello dell’area sud-orientale – mostra un dinamismo più consistente e variegato. Si combina la crescita del turismo, legata ai beni ambientali e culturali, con lo sviluppo di un’agricoltura specializzata, la riorganizzazione dell’industria chimica, la crescita di nuovi settori manifatturieri legati all’ICT, ma anche al fotovoltaico.

Insomma, qualcosa si muove nei sistemi locali siciliani e questo fenomeno si accompagna, più in generale, a segnali di reazione da parte di esponenti delle generazioni imprenditoriali più giovani e più consapevoli, che chiedono minore assistenza, regole più certe e più snelle, interventi pubblici più capaci di favorire l’apertura al mercato e la capacità di competere offrendo beni collettivi e servizi più efficaci: formazione, energia, logistica e comunicazioni, reti telematiche, ma anche lotta più efficace alla criminalità.

Si tratta di segnali ancora limitati, ma significativi soprattutto in prospettiva. Anche la Sicilia, infatti, come altre regioni del Sud, dovrà affrontare nei prossimi anni la duplice sfida della globalizzazione. La prima riguarda l’efficienza dei servizi pubblici e privati che influiscono sulla competitività delle imprese e dei territori. Non si può affrontare la crescente concorrenza internazionale con infrastrutture che non funzionano, con costi più elevati dell’energia, con una sistema di istruzione e formazione che fa acqua, con una pubblica amministrazione troppo lenta e costosa. Promuovere una maggiore efficienza dei servizi richiede liberalizzazioni, concorrenza, mobilità del lavoro sostenuta da un sistema di protezione sociale adeguato. In una situazione in cui si potrà contare meno che in passato sulla redistribuzione di risorse dal centro.

La seconda sfida riguarda la necessità – anche per il Sud e la Sicilia – di promuovere lo spostamento verso produzioni di qualità, meno dipendenti dalla concorrenza di costo che viene dalle aree emergenti. In questo caso la ricetta ha il nome di economia della conoscenza. Si tratta di favorire le attività innovative più strettamente legate al progresso scientifico e alle conoscenze specialistiche. Accrescere le competenze della popolazione, ridurre il divario digitale, incrementare gli investimenti in ricerca e sviluppo, potenziare le strutture universitarie e incoraggiare la formazione di buone reti cooperative tra università e imprese.

Insomma, il Mezzogiorno e la Sicilia si trovano davanti a nuove sfide per affrontare, più efficacemente che nel passato, il problema dello sviluppo economico e civile. Prima ancora che economico, tale problema è di natura socio-culturale e istituzionale. Richiede cioè un adeguamento della cultura sociale e politica, delle capacità relazionali, delle strategie e delle forme di intervento delle istituzioni.

Le opportunità e i vincoli di questo processo saranno al centro delle attività di ricerca del nuovo Istituto.

Come studiare lo sviluppo

Come già anticipato, la prospettiva di ricerca di RES si collega agli approcci economici e sociologici che negli ultimi anni hanno affrontato il tema dello sviluppo in chiave istituzionale, cercando di analizzare l’influenza della società e della politica sull’economia. Ciò richiede un cambiamento di lenti rispetto al filone più tradizionale di analisi del Mezzogiorno. E’ la stessa categoria statistica e socio-economica di “Mezzogiorno” che va messa in discussione, per due motivi principali.

Anzitutto, il tradizionale riferimento aggregato al Mezzogiorno, confrontato con il “Centro-Nord”, non permette di cogliere adeguatamente i segni di novità all’interno del Sud e della stessa Sicilia, e non aiuta a mettere a fuoco le differenziazioni interne, che appaiono invece sempre più importanti sia per analizzare i vincoli che le opportunità di sviluppo, sia per disegnare politiche di sviluppo più efficaci in quanto più sensibili ai diversi contesti.

In secondo luogo, l’uso della categoria “Mezzogiorno” si accompagna ad analisi generalmente volte a mettere prevalentemente in luce le determinanti macro-economiche del problema di sviluppo del Sud, e insistono quindi soprattutto sulla necessità di un impegno maggiore dello stato centrale per compensare con incentivi o sgravi fiscali a favore delle aziende – specie esterne – le carenze del contesto che pesano sulla produttività delle imprese.

Con il nuovo approccio, l’attenzione si sposta invece di più sui fattori endogeni: la formazione di imprenditorialità; le leadership imprenditoriali e politiche; le capacità relazionali dei soggetti individuali e collettivi (capitale sociale) e quindi la capacità dei territori di produrre beni collettivi materiali e immateriali, in modo da incidere a monte sulle carenze di contesto, non limitandosi soltanto a compensare con aiuti le carenze che scoraggiano la formazione di nuove imprese e l’investimento di imprese esterne.

In questo quadro, si tratta insomma di studiare “le Sicilie che si muovono”, mettendole a confronto con le aree stagnanti e in declino, non solo nell’economia dell’Isola, ma anche in altre regioni del Mezzogiorno, del Centro-Nord e dell’Europa. L’obiettivo è quello di delineare diversi tipi di sviluppo locale mettendo meglio a fuoco i fattori di successo e di criticità, in modo da trarne indicazioni utili per il disegno delle politiche.

L’attività di RES

L’attenzione ai temi delle leadership imprenditoriali e politiche e delle capacità relazionali (capitale sociale) per la produzione di beni collettivi richiede che vengano svolte indagini dirette, e che non ci si basi dunque esclusivamente su elaborazioni di dati statistici forniti da varie fonti (Istat, Banca d’Italia, ecc.).

Anche il riferimento al concetto di sviluppo locale richiede approfondimenti diretti e indagini specifiche. Esso non può infatti essere identificato soltanto con l’incremento del reddito o dell’occupazione, ma richiede uno sforzo di misurazione della qualità sociale intesa come crescita nel territorio di “capacità”, ovvero di competenze e specializzazioni e di capacità relazionali per affrontare in misura più autonoma le sfide esterne. Visto in questa prospettiva, lo studio dello sviluppo locale richiede anche un’attenzione specifica per la storia dei territori.

L’attività di RES si distinguerà dunque da quella di altri centri di ricerca perché sarà meno impegnata in analisi di tipo congiunturale e previsionale, peraltro già condotte adeguatamente da altre istituzioni nazionali e regionali. Il fuoco principale dell’attività riguarderà lo sviluppo dei territori analizzato attraverso indagine dirette sul campo e comparazioni sistematiche.

Tra i temi che verranno affrontati per primi in questa chiave vi sono: opportunità e vincoli per i territori e le imprese dell’economia della conoscenza, i sistemi locali basati sulla valorizzazione dei beni ambientali e culturali, i sistemi locali dell’agricoltura specializzata e dell’agro-industria. Particolare attenzione verrà inoltre data alle nuove forme di organizzazione dell’economia criminale; alla qualità sociale e culturale delle città, viste come motore o come vincolo ai processi di innovazione; ai caratteri dei processi formativi nelle scuole e nell’università.

Questi temi saranno oggetto di un rapporto annuale che si baserà su una ricerca originale di taglio comparativo, condotta con indagini dirette sul campo. Il rapporto verrà presentato in occasione di un convegno annuale al quale saranno invitati esperti, rappresentanti delle istituzioni regionali e nazionali, delle forze sociali, dell’associazionismo.

Oltre alla realizzazione di questa indagine, l’Istituto condurrà ricerche e approfondimenti su temi più specifici di natura economico-finanziaria e socio-economica che verranno discussi in seminari con esperti, rappresentanti delle forze sociali e delle istituzioni pubbliche.

Sono anche previste attività di promozione culturale come cicli di conferenze ai quali saranno invitati studiosi italiani e stranieri.

Comunicato stampa RES