A tutto Mambor. L’arte di osservare

Il 18 maggio, nell’ambito della Settimana delle Culture, alle ore 18.00, inaugurerà a Villa Zito a Palermo, la mostra dal titolo  “A tutto Mambor.  L’arte di osservare” a cura di Alberto Dambruoso e con un testo critico di Maurizio Calvesi.  La mostra é stata voluta dalla Fondazione Sicilia su un progetto di Marzia Spatafora.

L’esposizione ripercorre attraverso la selezione di una quarantina di opere pittoriche, una decina di sculture e una decina di fotografie l’esperienza artistica di Renato Mambor (1936 – 2014), tra i più grandi e significativi  artisti italiani degli ultimi sessant’anni.

Protagonista della Scuola romana di Piazza del Popolo dei primi anni Sessanta insieme a SchifanoAngeliFestaTacchiLombardoFioroniPascaliMauriBaruchelloCeroliPatellaKounellisMambor ha attraversato tutto il decennio partecipando al clima di rinnovamento dell’arte dopo il periodo Informale e recitando un ruolo di primo piano anche come performer. Dopo aver inizialmente preso parte anche al clima concettuale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta (verrà invitato anche alle prime mostre dell’Arte Povera), Mambor si dedicherà per lungo tempo al teatro d’avanguardia per ritornare all’attività espositiva a metà degli anni Ottanta, che non abbandonerà mai più fino alla sua scomparsa, ottenendo negli ultimi dieci anni numerosi riconoscimenti dall’estero oltreché in Italia. 

Tra le opere più significative presenti in mostra il “Diario 67”, opera collettiva composta da undici pannelli nella quale Mambor aveva chiamato a collaborare alcuni suoi amici compagni di strada: Boetti, Tacchi, Mauri, Icaro, Ceroli, Mattiacci, Marotta, Pascali, Pirelli, Remotti e Maini; e il “Diario 2007” (composto da 11  trittici, di cui quattro presenti in mostra) che ben sintetizza la portata della ricerca intrapresa nell’ultimo scorcio della sua carriera. 

Una sezione della mostra è dedicata alla documentazione fotografica riguardante il lavoro di carattere performativo realizzato dall’artista alla fine degli anni Sessanta – inizi Settanta in pieno clima “Body – Art”.

Mambor, fin dall’inizio della sua attività artistica ha inteso sviluppare un discorso che mirasse ad entrare in contatto diretto con lo spettatore non attraverso l’imposizione della sua espressività bensì in modo oggettivo, nel ruolo di suggeritore, di indicatore di possibili realtà da cogliere o inquadrare sotto una diversa ottica.  Etica ed estetica si sono fuse fin dal principio nella sua opera che si è posta da sempre come un manuale per l’educazione della vista e un dispositivo in grado di trasformare le persone attraverso l’esperienza con la sua opera.

“Guardare una cosa” diceva Mambor, “è questione di accomodarla nel suo contesto abituale e di riconoscerla per quello che abbiamo imparato che è. Vederla è questione di inquadrarla in modo del tutto nuovo, del tutto fuori contesto”.  

Era ciò che aveva espresso in termini filosofici Hans Georg Gadamer  in “Verità e metodo”:

“Ciò che propriamente si sperimenta in un’opera d’arte, ciò che in essa attrae la nostra attenzione, non è piuttosto il suo essere o no vera, il fatto cioè che chi la contempla possa conoscere e riconoscere in essa qualcosa e, insieme, se stesso. Che cosa sia il riconoscimento, nella sua essenza più profonda, non lo si capisce se ci si limita a osservare che in esso viene conosciuto di nuovo qualcosa che già si conosce, che il conosciuto viene riconosciuto. Il piacere del riconoscimento consiste piuttosto nel fatto che in esso si conosce più di ciò che già si conosceva. Nel riconoscimento la cosa conosciuta emerge, per così die, come attraverso una nuova illuminazione, dalla casualità e dalla variabilità delle condizioni in cui in genere è sommersa, e viene colta nella sua essenza”.

La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Maretti Editore, sarà visitabile fino al 15 luglio 2019.